giovedì 17 maggio 2018

recensione di open house


Recensione the open house
Al cuore del film vi è un nucleo familiare colpito da un'improvvisa tragedia: la morte, provocata da un banale incidente, di Brian (Aaron Abrams), marito di Naomi Wallace(Piercey Dalton, che ricorda l'immagine di una giovane Debra Winger) e padre di Logan (il ventunenne Dylan Minnette, co-protagonista della serie Netflix Tredici). Ancora alle prese con il dolore per la loro perdita, e in più gravati da impellenti ristrettezze finanziarie, madre e figlio accettano di trascorrere qualche giorno nella open house della sorella di Naomi: una villetta in montagna aperta a potenziali acquirenti, con visite giornaliere all'interno della casa. È il primo spunto narrativo intrigante, che va ad aggiungersi a quello della difficile elaborazione di un lutto: la violazione dell'intimità domestica, tema su cui sembra reggersi del resto l'intero impianto del film.
The Open House: una scena con Dylan Minnette
Perché The Open House, ed è forse il suo aspetto più convincente, presenta una peculiare declinazione del filone home invasion: una 'invasione' normalizzata, quella costituita da estranei dotati di un fugace accesso all'ambiente domestico dei protagonisti. Subito dopo le prime visite, infatti, nella casa occupata da Naomi e Logan iniziano a verificarsi piccole ma inquietanti anomalie: oggetti che scompaiono o si spostano in maniera misteriosa, problemi all'elettricità e alla caldaia e, passo dopo passo, una vaga sensazione di minaccia che aleggia su questa dimora isolata. I due registi non accelerano i tempi, ma lasciano al contrario che la tensione monti gradualmente e senza fretta, e nel frattempo introducono nuovi personaggi: Martha (Patricia Bethune), vicina loquace e un po' stramba, dal comportamento non molto rassicurante, e Chris(Sharif Atkins), un simpatico commesso che fa il filo a Naomi, suscitando la gelosia di Logan.

Il cambio di rotta di un finale boomerang

Per un'ora abbondante di durata, dunque, The Open House si attiene a questo specifico approccio: dissemina diversi indizi, sta attento a non strafare e in contemporanea approfondisce il rapporto fra Naomi e Logan, nonché i loro stati d'animo - talvolta contrastanti - rispetto a una situazione familiare non facile. Insomma, gli elementi d'interesse ci sarebbero pure, se non fosse per la dissennata mezz'ora finale: una mezz'ora in cui, nell'intento di accelerare il succedersi degli eventi e di far deflagrare la tensione, Matt Angel e Suzanne Coote trasformano The Open House nel più banale degli horror, abbandonando ogni coerenza con quanto mostrato fino ad allora. Ed è questo, a nostro avviso, il difetto più grave e imperdonabile di un thriller che, nel complesso, si era mantenuto su livelli tutto sommato discreti: recidere ogni filo tematico intessuto nella trama, dalla sofferenza per il lutto al disagio economico, passando per i conflitti tra madre e figlio ma anche per la solidità del loro affetto reciproco.
The Open House: Dylan Minnette in una scena
Perché i due registi, sciaguratamente, si limitano a far materializzare un villain sulla cui esistenza e sul cui comportamento non viene fornito il minimo tentativo di spiegazione. Non che ogni film, né ogni horror, debbano per forza di cose seguire un percorso razionale, beninteso: si pensi ad esempio all'ambiguità e alla dimensione volutamente 'assurda' dei thriller di Michael Haneke, Funny Games e Niente da nascondere. La questione è che The Open House si muove su un territorio del tutto diverso: imposta un certo discorso, costruisce determinate attese... in pratica, gioca secondo regole ben precise che poi finisce per trasgredire, a favore di una repentina esplosione di violenza. Una violenza che stavolta però, più che a un genuino orrore, somiglia a un sadismo gratuito, per un film che finisce per risultare decisamente irritante nelle sue forzature, rendendo ancor più amaro il senso di delusione.
voto complessivo   5

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